Ewald Johannes.

Cartina dell'Italia

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Ewald, Johannes.

Poeta danese. Si dedicò particolarmente al teatro, riducendo in forma drammatica le più belle leggende del suo paese. Tra le opere: Rolf Krage, La morte di Balder, I pescatori, e le raccolte di liriche Le delizie di Rungsted, Il penitente (Copenaghen 1743-1781).

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Poeta.

Chi compone poesie. A seconda del genere trattato, si parla di p. lirico, tragico, epico, satirico, ecc. - P. maledetti: V. MALEDETTO. - Per estens. - Avere un animo da p.: detto di chi possiede un innato gusto estetico, una propensione a ricercare l'ideale e ad impiegare la fantasia.

[Maledetto. Colpito da maledizione, degno di maledizione. - Per estens. - Nefasto, che porta sventure. • Lett. - Poeti m.: espressione derivata dal saggio I poeti maledetti (1884) di P. Verlaine; termine con cui erano designati quei poeti per i quali la poesia è ricerca dell'assoluto e rifiuto totale di compromessi con la società.]

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Danese.

Della Danimarca; abitante della Danimarca. - Ling. - Lingua germanica parlata in Danimarca, un tempo diffusa anche nello Schleswig e nella Svezia sud-occidentale. Nella sua fase preistorica il d. si accomunava alle altre lingue germaniche settentrionali, islandese, svedese, norvegese (antico nordico). In seguito, il d. antico (XII-XIV sec.) si distinse dalle altre lingua per alcuni mutamenti fonetici, segnando l'inizio di un'evoluzione linguistica che lentamente si andò diffondendo verso Nord. Nel periodo del medio d. (XIV-XVI sec.) le trasformazioni della lingua si fecero più rapide e profonde e comparve il caratteristico suono φ. Il d. ebbe influenze in tutto il Nord: in Gran Bretagna, in seguito all'espansione dei Vichinghi (IX-XI sec.), in Norvegia, per l'unione politica tra le due Nazioni (XIV-XIX sec.), in Svezia e in Islanda. Subì, però, anche influssi linguistici da parte di altre lingue quali il latino, il francese e il tedesco. - Zool. - Nome improprio con cui viene comunemente designato l'alano tedesco (V.).

Teatro.

(dal latino theatrum, der. del greco theáomai: essere spettatore). Complesso architettonico destinato alla rappresentazione di spettacoli di prosa, opera, balletto: il t. greco. - Lo spettacolo che si dà a t.: andare a t. - Gli spettacoli teatrali in genere: va pazzo per il t. - L'insieme degli spettatori presenti a una rappresentazione teatrale: alla fine dello spettacolo tutto il t. si alzò in piedi applaudendo. - Il complesso delle attività e delle persone afferenti alla realizzazione di spettacoli e stagioni teatrali: il mondo del t. - Genere teatrale, storicamente o formalmente determinato: t. di prosa. - Produzione teatrale propria di un autore, di un'epoca, di un Paese: il t. elisabettiano. - Fig. - Luogo dove si svolgono o si sono svolti determinati episodi: questa piana è stata t. di un importante fatto d'armi. - T. d'animazione: forma di spettacolo i cui personaggi sono burattini o marionette. Appartiene a questo genere anche il t. d'ombre, sorto in Cina (o, secondo altri, in India o nel Tibet) e diffuso in Oriente e Medio Oriente, Africa settentrionale. Nel t. d'ombre, silhouette articolate vengono proiettate su uno schermo per mezzo di una fonte di luce e manovrate da animatori invisibili. È detto t. d'animazione anche la tecnica teatrale finalizzata a favorire processi formativi e a promuovere la socialità nei bambini e negli adulti. - T. di posa: ambiente destinato alla ripresa degli interni di un film. Il fabbricato, generalmente a base quadrata e variamente dimensionato, presenta all'interno ballatoi perimetrali e passerelle praticabili (ponti) e, a soffitto, una griglia per fissare le luci, gestibili in modo automatico o semiautomatico da un'apposita consolle. Attorno al perimetro interno del fabbricato scorre inoltre una rotaia per lo spostamento dei fondali o panorami. I t. di posa sono insonorizzati, con porte a tenuta acustica. Gli accessi consentono il transito di persone, mezzi e materiali per la costruzione e il montaggio della scenografia. - T. anatomico: aula universitaria adibita a lezioni ed esercitazioni di anatomia, detta anche, per la sua forma, anfiteatro anatomico. - T. tenda: spazio per rappresentazioni sceniche consistente in una struttura smontabile simile al tendone da circo. • Arch. - Le prime manifestazioni teatrali dell'umanità sono da ricondursi alla sfera del sacro, ovvero alla celebrazione, da parte dello sciamano, di riti che comportavano elementi spettacolari (declamazione, canto, danza, mimo) cui la tribù partecipava disponendosi in circolo intorno al celebrante. Spazi scenici erano inoltre ritagliati all'interno di edifici e ambienti sacri, quali necropoli, templi e piramidi. Aree teatrali furono detti i recinti, d'epoca micenea, destinati alla rappresentazione di riti dionisiaci e cori ditirambici, ma il t., inteso come luogo adibito a spettacoli cui assiste un pubblico appositamente convenuto, si sviluppò a partire dal VI sec. a.C., quando l'attore-autore nomade Tespi, su incarico di Pisistrato, avrebbe organizzato un idoneo spazio presso il tempio di Dioniso Eleuterio per lo svolgimento delle feste dionisiache. Parti essenziali dell'edificio teatrale greco antico erano l'orchestra, spazio trapezoidale dove agiva il coro danzante, e il kóilon, anch'esso trapezoidale, formato da gradinate lignee dove sedevano gli spettatori, appoggiato a un declivio naturale oppure scavato nella roccia (come a Siracusa). Elemento successivo fu la skené, costruzione che sorgeva di fronte agli spettatori e che, ornata da elementi scenografici e architettonici, fungeva da fondale oltre che da area di disimpegno e magazzinaggio per costumi e attrezzature. Davanti alla skené era collocata una pedana lignea alta dai 30 ai 60 cm (proskénion), alla quale gli attori accedevano da tre porte collocate nella facciata della skené. Dall'inizio del IV sec. si costruirono i paraskénia, due avancorpi posti ai lati della skené, aventi la funzione di alloggiare i macchinari usati per effetti scenici. Dei perfezionamenti gradualmente apportati all'edificio teatrale greco offrono testimonianza i complessi teatrali di epoca alessandrina, quali i t. di Atene, Delfi, Epidauro in Grecia, Taormina e Siracusa nella Magna Grecia, Efeso e Priene in Asia Minore. L'edificio, costruito in muratura, ebbe un'orchestra circolare e una skené a due piani, uno dei quali a colonnato, il cui tetto a terrazzo era impiegato per apparizioni ed altri effetti. In età romana, oltre all'orchestra (platea), di forma semicircolare, l'edificio teatrale era costituito da una cavea a gradinate, tutta in muratura, divisa in settori orizzontali (ima, media, summa cavea) e sostenuta da una struttura che aveva all'interno un sistema di gallerie comunicanti tra loro tramite scalette. Esse conducevano anche ai vomitoria, cioè agli accessi ai vari settori della cavea. La parte esterna del fabbricato era decorata con tre ordini di arcate in marmo. L'anfiteatro (cioè doppio t.) era invece costituito da una doppia cavea che racchiudeva l'arena, così detta per la pavimentazione in sabbia, dove si svolgevano combattimenti di gladiatori e altri ludi. La sommità dei muri esterni era provvista di pali di legno destinati a sorreggere il velarium, un telone di protezione dal sole o dalle intemperie, che copriva l'intera struttura. Nata ufficialmente nel 55 a.C. (data di costruzione del primo t. a Roma), la vita teatrale romana proseguì fino al IV sec., dopo di che l'influenza dell'autorità ecclesiastica determinò la cessazione delle rappresentazioni pubbliche e, conseguentemente, l'abbandono e il progressivo degrado dei t. antichi, utilizzati ormai solo come fonte di materiale di spoglio. Nel Medioevo le manifestazioni teatrali assunsero caratteri diversi, ora di spettacolo riservato a un numero ristretto di spettatori, per il quale si utilizzavano le sale delle dimore patrizie o di edifici pubblici, ora (a partire dal IX sec.) di sacra rappresentazione, destinata all'edificazione della massa dei fedeli, da eseguirsi in spazi non diversi da quelli interni (il sacrario con l'altare maggiore, il coro o la schola cantorum, la navata centrale) o adiacenti all'edificio sacro. Lo sviluppo dell'economia urbana e la conquista delle autonomie cittadine spostarono il luogo della sacra rappresentazione dalla chiesa alla piazza; l'evento teatrale divenne un momento di aggregazione sociale realizzato con l'appoggio delle amministrazioni pubbliche. Gli spazi scenici provvisori per tali spettacoli erano delimitati e contrassegnati da scarni elementi simbolico-scenografici detti luoghi deputati, la cui funzione era di rendere facilmente riconoscibili da parte del pubblico gli ambienti dello sviluppo drammaturgico (Paradiso, Inferno, Calvario, ecc.). Nello spazio teatrale detto alla francese i luoghi deputati erano posti l'uno accanto all'altro su un unico palcoscenico che poteva occupare tutto il lato di una piazza; in quello alla tedesca ogni luogo deputato disponeva di un palco o pedana indipendente. Il pubblico seguiva l'azione in piedi o dalle tribune (o gradinate) montate intorno alla piazza. La riscoperta del t. classico e la rinascita teatrale del Quattrocento determinarono una nuova fortuna per l'architettura teatrale classica (in particolare, il De architectura di Vitruvio), anche se le eterogenee forme spettacolari (feste, trionfi, tornei) organizzate nell'ambito delle corti trovavano accoglimento in luoghi non specificamente destinati a questa funzione; nelle piazze d'armi e nelle sale all'interno dei palazzi, il pubblico era assiso su tribune a gradoni, montate attorno all'area centrale dove si svolgeva l'azione. Per le rappresentazioni che necessitavano di un punto di vista frontale si approntavano scene fisse e, per il pubblico, gradoni rettilinei frontali alla scena. Nella prima metà del Cinquecento il più diffuso modello architettonico di t. ebbe una pianta con gradinate su tre lati e un palcoscenico (secondo la soluzione proposta nel Secondo libro dell'architettura di S. Serlio) suddiviso in proscenio e declivio, sul quale era montata la scena. Gli edifici teatrali dell'antichità classica, costante punto di riferimento durante tutto il Rinascimento, ispirarono la concezione del t. olimpico di A. Palladio e V. Scamozzi a Vicenza (1580-85). Qui l'architettura scenica è influenzata dalla scoperta della prospettiva, utilizzata in senso teatrale al fine di indirizzare e incatenare l'attenzione degli spettatori. In epoca elisabettiana il t. inglese pubblico era composto da un sistema circolare di gallerie sovrapposte, comunicanti tra loro mediante scale interne. Il pubblico scelto prendeva posto in palchi riservati posti in corrispondenza della scena, mentre al popolo era riservata l'area centrale scoperta. All'esterno l'edificio presentava, oltre alla porta d'ingresso, solo alcune finestre. Il palcoscenico (stage) si sviluppava in due o tre piani di altezza. Il terzo piano era usato solo per qualche scena d'interno, altrimenti era chiuso da tende. L'azione scenica aveva luogo sull'outer stage, la parte anteriore del palco: l'inner stage, la parte interna, era sovrastato da un baldacchino (canopy), al di sopra del quale sorgeva una specie di torretta usata come deposito per macchine e dispositivi scenotecnici. In Italia, l'affermazione del melodramma nel Seicento comportò dapprima solo l'evoluzione della struttura del palcoscenico, dovendosi notevolmente ampliare per fare spazio ai dispositivi per il cambiamento a vista delle scene e alle macchine per realizzare effetti scenografici quali apparizioni e sparizioni, voli e apoteosi. Solo più tardi, con il passaggio dallo spettacolo privato, cortigiano o accademico, allo spettacolo pubblico, si dovette far fronte a un pubblico assai più numeroso, concependo un nuovo t. costituito da un grandioso vano con pianta a ferro di cavallo, con più ordini (da tre a cinque) sovrapposti di gallerie, ciascuna con 20-30 palchi, e un loggione senza divisioni nell'ordine superiore. Gli elementi che determinarono l'immensa fortuna e la diffusione universale di questa tipologia di t. erano evidenti, legati sia all'efficienza e alla praticità sia alla tradizionale divisione tra gli spettatori di estrazione sociale elevata e quelli delle classi subalterne: posti popolari rimasero il loggione e la platea, con posti in piedi e file di panche. Il palcoscenico con il sipario e la fossa orchestrale erano del tutto separati, strutturalmente e funzionalmente, dalla sala dove gli spettatori potevano affluire agevolmente attraverso il sistema delle scale e dei corridoi di accesso ai palchi. Il t. all'italiana, impostosi in tutta Europa dalla fine del XVIII sec., rimase pressoché invariato fino al XIX sec., a parte qualche adeguamento legato al genere teatrale rappresentato, al mutare degli stili architettonici o al miglioramento dell'acustica. Allo schema originario furono date forme architettoniche e decorative eleganti e fastose, nonostante la precarietà del materiale che, come già per i t. italiani dei secc. XVI e XVII, fu in gran parte costituito da legno e stucco dipinto e dorato. Il rinnovamento operato da R. Wagner nel t. d'opera investì in pieno anche la tradizionale concezione architettonica dell'edificio teatrale: lungi dal riprodurre la divisione in classi della società, il t. doveva essere un luogo che favorisse un raccoglimento quasi mistico. Nel Festspielhaus di Bayreuth (1876, architetto O. Brückwald), la platea di forma trapezoidale restò l'unico spazio destinato al pubblico, mentre l'orchestra divenne invisibile all'uditorio, posta com'era in un golfo mistico situato sotto il proscenio. Le avanguardie artistiche della prima metà del XX sec. furono ancora più radicali nel proporre soluzioni che ponevano via via l'attore o il pubblico al centro dello spazio scenico: basti citare, tra gli altri, i progetti di una sala con scena anulare attorno a una cavea centrale (O. Strnad, Vienna); di un t. ovoidale senza soffitto e senza pareti (F. Kiesler); degli spazi polivalenti di O. Schlemmer (1922-23); del t. sferico del Bauhaus (A. Weininger) e del Total Theater di W. Gropius (1927), non realizzato, costituito da un insieme razionale di strutture mobili. Se i nuovi accorgimenti tecnico-edilizi ottenibili grazie all'impiego del cemento armato hanno consentito di ripensare da capo la struttura teatrale nel suo complesso, le teorizzazioni dei movimenti teatrali d'avanguardia degli anni Sessanta-Settanta hanno moltiplicato gli spazi scenici alternativi ai circuiti ufficiali: auditorium, ex magazzini, piccoli t., spazi sotterranei come le cosiddette cantine (corrispondenti al t. americano underground), tendoni da circo. Il t. sperimentale ha ampliato inoltre la sua prospettiva storica accogliendo suggestioni provenienti da culture teatrali estranee all'Occidente. In Giappone, dove peraltro l'occidentalizzazione dell'architettura teatrale può dirsi compiuta, resta tuttavia ancora viva la tradizione del t. del no, sorto nel XIV sec., e del kabuki, spettacolo pubblico nato nel XVII sec. Il primo, che è considerato il t. classico giapponese, esigeva una piattaforma quadrata lignea, che fungeva da palcoscenico, posta a un metro dal suolo, con gli spettatori seduti su tre lati della piattaforma. Il coro occupa il lato destro della piattaforma, rialzato e munito di parapetto, mentre l'orchestra è sistemata in un retroscena a vista, dal quale si diparte anche un ponte che conduce alla stanza dello specchio, il camerino degli attori. L'unico elemento scenografico è costituito da un fondale dipinto con pini. Il genere del kabuki stabilizzò i suoi caratteri architettonici sul finire del Settecento: il palcoscenico era una versione semplificata di quello del no, ma molto più largo e provvisto di due sipari, uno iniziale che si alzava e uno interno, per gli intervalli, che scorreva lateralmente. La platea quadrangolare era protetta da tettoie e percorsa su tre lati da due ordini di gallerie, schermate da stuoie di bambù. Dall'angolo sinistro del palcoscenico partiva una passerella, detta la strada fiorita, che attraversava tutta la sala per lungo, passando sopra gli spettatori seduti in platea. • Encicl. - Le più remote origini del t. si ritrovano nelle forme spettacolari di celebrazione religiosa proprie del mondo arcaico e, a tutt'oggi, delle popolazioni di interesse etnologico. Tali forme teatrali sono caratterizzate dalla rappresentazione ritualizzata di eventi mitico-sacri. Il recitante, o narratore, può essere il solo sciamano, ma possono esserci vari livelli di partecipazione da parte dell'uditorio. Le azioni drammatiche cantate e recitate, mimate e danzate, richiedono travestimenti che vanno dalla pittura del volto e del corpo, alla maschera facciale, dal nudo all'uso di costumi. Riguardo alla nascita del t. profano, si può ipotizzare che qualche elemento di comicità non mancasse nelle rappresentazioni mimiche di carattere sacro, consistente in atteggiamenti e movimenti atti a suscitare il riso. Di natura essenzialmente religiosa è anche il t. greco antico, estrinsecatosi nelle forme peculiari della commedia e della tragedia. Quest'ultima, etimologicamente canto del capro, designava all'inizio il ditirambo cantato dal coro in onore di Dioniso e accompagnato dal sacrificio di capretti. Lo sviluppo della tragedia sarebbe da far risalire alla trasformazione del ditirambo in azione dialogata tra il coro e il corifeo, innovazione che la leggenda attribuisce a Tespi. Anche la nascita della commedia si connetterebbe con il culto di Dioniso: secondo Aristotele (Poetica), il genere è nato dalle improvvisazioni che ravvivavano i cortei fallici, durante i quali venivano portati in processione simboli della procreazione, improvvisazioni che consistevano in uno scambio di battute e scherzi salaci tra coreuti e verso gli spettatori. Ad Atene, commedie e tragedie erano rappresentate nel corso delle quattro grandi feste annuali in onore di Dioniso. E anche se il carattere religioso della rappresentazione teatrale sopravvisse a lungo nel mondo greco, il senso e la percezione della rappresentazione come pratica del culto si estinse progressivamente sia negli autori sia nel pubblico. Nell'Atene classica il t. rappresentò un'istituzione della vita pubblica, uno strumento di catarsi collettiva. Il pubblico poteva raggiungere le 15.000 unità ed era costituito anche dai ceti poveri, cui il Governo cittadino pagava il prezzo dell'ingresso attingendo a un'apposita cassa (theoricón). Fino al IV sec., quando la scarsità di una produzione teatrale indusse a rimettere in scena opere antiche già famose, si usava assegnare premi all'autore, al corego e all'attore protagonista giudicati migliori. In età ellenistica il t. aveva concluso la sua funzione istituzionale per diventare una manifestazione circoscritta agli ambienti cortigiani panellenici: Plutarco attesta che nel 56 a.C. il re armeno Artavasde creò ad Artaxata un t. dove si allestivano, tra l'altro, le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide. Anche a Roma la celebrazione di eventi di carattere religioso (i ludi) o politico era l'occasione per indire spettacoli pubblici, teatrali o circensi. Ma, mentre il t. divenne sempre più una forma spettacolare ristretta al godimento di una classe colta e agiata, il popolo apprezzava soprattutto i giochi gladiatori, atletici o d'altro tipo, oppure forme di spettacolo dalla comicità greve e mordace quali il fescennino, di origine etrusca da cui si suole far derivare la satira (satura), l'atellana (genere di farsa proveniente da Atella, città osca della Campania) e il mimo. Da questi generi teatrali derivano i personaggi, dalla psicologia elementare e dai comportamenti stereotipati, inconsapevolmente ripresi dalle maschere della commedia dell'arte: Maccus (lo stupido), Bucco (forse il mangione), Dossennus (il furbo), il mimus albus (specie di clown bianco), il centunculus (progenitore latino di Arlecchino), il sannio (il buffone, da cui deriva lo zanni), il colonus, tipo di provinciale babbeo e credulone (da cui la parola clown). Per quanto il mestiere di teatrante fosse considerato degradante e, in quanto tale, esercitato per lo più da schiavi o liberti, alcuni mimi furono ammirati e protetti da personaggi come Mecenate, Augusto, Seneca, Nerone. Da quando, nel 240 a.C., Livio Andronico fece rappresentare per la prima volta una tragedia e una commedia greca tradotte, il t. latino rimase pesantemente condizionato dal modello greco, tanto da anteporre tragedie e commedie di argomento greco (dette rispettivamente cothurnatae e palliatae) a quelle di argomento romano (praetextae e togatae). Autori latini di commedie furono Plauto e Terenzio, la produzione dei quali si rifà alla tradizione della commedia attica, mentre la tragedia ebbe i suoi principali cultori in Andronico, Nevio e Seneca. Nel Medioevo si può ricominciare a parlare di vita teatrale solo con l'uscita delle sacre rappresentazioni dal chiuso dei luoghi religiosi alle piazze delle città. La sacra rappresentazione e la lauda, generi teatrali dominanti dei secc. XII-XIII, recitate in volgare dalle corporazioni artigiane o dalle confraternite laico-religiose per l'edificazione del popolo, rievocavano episodi della liturgia o del martirologio ed ebbero diffusione, oltre che in Italia, in Inghilterra (mysteries, miracle plays), Francia (miracles), Spagna (auto sacramental, recitato il giorno del Corpus Domini). Fu poi il pubblico popolare a impedire l'estinzione sia del filone comico-satirico sia della tradizione del t. circense, praticati da mimi, istrioni, giullari e osteggiati dalle autorità ecclesiastiche, ma apprezzati anche dalle élite cortesi. Si ebbero così le sotties e le forces francesi; in Inghilterra i masks, sorta di mascherate per lo più mitologiche, in Germania le farse dei Maestri cantori (Meistersinger). Ci fu inoltre un t. erudito in latino, dal quale originò il t. rinascimentale di corte, non ancora praticato in edifici appositi e da artisti che esercitassero la professione teatrale in maniera esclusiva. L'Italia fu, in epoca tardo-rinascimentale, il luogo d'origine di forme fecondissime di t. colto, come il melodramma, e di t. popolaresco, come la commedia dell'arte. Questa ebbe i suoi cultori in vere e proprie compagnie professionistiche (quelle degli Uniti, degli Accesi e, soprattutto, quella dei Gelosi, con Isabella e Francesco Andreini). La prassi teatrale dei comici consisteva nell'adottare un canovaccio desunto dalla commedia erudita, sovente di derivazione latina, sul quale improvvisare o intessere lazzi (da acti, cioè invenzioni, trovate), dei quali con il tempo si consolidò un copioso repertorio cui attingere. Perseguitati dalla Chiesa, specialmente in seguito al ritorno sulla scena delle attrici (i personaggi femminili erano stati fino ad allora interpretati da uomini), e anche dalle autorità laiche, gli attori godevano tuttavia della protezione di corti e letterati in Italia e in Europa, nonché del favore incondizionato del pubblico popolare, che divenne decisivo man mano l'attività teatrale si spostava ai t. pubblici. Tali, per esempio, furono i t. elisabettiani come il Globe Theatre di Shakeapeare. Alla fine del Seicento le maschere della commedia dell'arte (Pantalone, Colombina, il Capitano, Arlecchino, Pulcinella, ecc.) furono progressivamente sostituite da ruoli, impersonati da attori dotati di una personalità definita (tra cui si ricorda Tiberio Fiorilli detto Scaramuccia, ammirato da Molière). Il pregiudizio sociale contro gli attori non si dissipò tuttavia, al punto che si continuò a negare ad essi il funerale e la sepoltura in terra consacrata. Nonostante il successo della commedia dell'arte, continuarono la produzione e la rappresentazione di testi completamente scritti, con caratteri psicologicamente più verosimili e complessi: autori come Molière nella commedia, Racine e Corneille nella tragedia, portarono la Francia al vertice del t. secentesco. Intanto, dilagato dall'Italia in Europa, il melodramma trovò la sua collocazione ideale nel t. settecentesco a palchetti dove, nonostante la divisione di casta (il popolino in platea, i signori nei palchi), il pubblico si arricchisce sempre di più di esponenti della borghesia intellettuale. Sarà questa classe ad animare le vivaci polemiche tra conservatori e innovatori come quella che oppose, nella Venezia settecentesca, C. Gozzi e C. Goldoni, fautore di una riforma del t. in senso realistico. Gli ideali illuministici, di cui Goldoni fu un moderato assimilatore, furono propugnati da Diderot e dal tedesco Lessing, anticipatore del dramma borghese nella sua attenzione alla realtà sociale contemporanea. Con la Rivoluzione francese la concezione di t. come forma d'arte elitaria fu respinta in favore di un t. come veicolo di diffusione delle istanze egalitarie e di formazione della coscienza democratica nella cittadinanza. L'involuzione autoritaria dell'epoca napoleonica portò, se non alla restaurazione di un t. di corte, almeno ad atti ufficiali di ordinamento di istituzioni teatrali prestigiose come la Comédie-Française. Il generale rinnovamento artistico promosso dal Romanticismo interessò anche il t., per quanto anticipazioni di alcuni dei temi cari agli autori romantici fossero già presenti, tra l'altro, nelle tragedie di V. Alfieri. Vicini allo Sturm und Drang, il movimento culturale romantico egemone in Germania, furono F. Schiller, autore di opere teatrali come I masnadieri, e J.W. Goethe, anch'egli autore e cultore del t. come amplificatore dei dilemmi esistenziali. A un altro tedesco, C.F. Hebbel, si deve pure la nascita della tragedia borghese (Maria Maddalena, 1843). Nella Parigi ottocentesca la rappresentazione dei lavori teatrali di V. Hugo scatenava polemiche pubbliche tra conservatori e sostenitori degli ideali romantici nell'arte e nella politica, polemiche alimentate dalla stampa (come lo erano già state a Venezia quelle tra i sostenitori di Gozzi e Goldoni); fece la sua apparizione la cronaca-critica teatrale, un fenomeno che aveva avuto qualche precedente soltanto nei giornali letterari e di cui è considerato fondatore J.L. Geoffroy, che la introdusse nel "Journal des débats" di Parigi. Il t. come tramite di messaggi politici e patriottici è consapevolmente adottato da autori italiani del Risorgimento come G.B. Niccolini e S. Pellico; nasce ora una generazione di interpreti (A. Ristori, T. Salvini, E. Rossi) che inaugurano la figura del "primo attore", incarnata all'estero da altri leggendari artisti (in Francia F.J. Talma, E. Kean in Inghilterra). Con lo spegnersi degli ardori rivoluzionari il t. dell'Ottocento si rivolse a problematiche che potevano divertire o scuotere un pubblico di estrazione borghese. Esemplare il rigore intellettuale e lo spirito anticonformista della produzione di H. Ibsen, iniziatore di un coraggioso t. civile al cui filone si ascrissero altri autori dell'epoca, quali J.A. Strindberg, O. Wilde, M. Maeterlinck, M. de Unamuno, G.B. Shaw. Al genere del vaudeville e alla farsa si dedicarono scrittori di sicuro mestiere, quali i francesi E.M. Labiche e G. Feydeau, mentre la produzione teatrale italiana non riusciva a sollevarsi dall'ambito del bozzettismo provinciale e del moralismo piccolo-borghese (P. Giacometti, P. Ferrari, V. Bersezio, E. Praga). Sul finire dell'Ottocento e agli inizi del Novecento, l'adesione al Naturalismo aveva condotto a un'arte scenica che ricercava la fedeltà scrupolosa all'ambiente storico rappresentato, nonché una recitazione attenta, aderente allo spirito dell'opera. A questi principi si ispirarono le esperienze di A. Antoine col Théâtre Libre a Parigi, di O. Brahm con la Freie Bühne di Berlino, di K. Stanislavskij con il T. d'Arte di Mosca. La reazione al t. naturalista può essere fatta risalire all'idea wagneriana che presuppone nello spettatore un'immedesimazione quasi mistica nel dramma; essa si concretizzò nelle intuizioni e nell'opera di registi-scenografi quali A. Appia e G. Craig, mentre G. Fuchs e M. Reinhardt a Vienna, V.E. Mejerchol'd, A.J. Tairov e E.B. Vachtangov nel t. russo, J. Copeau a Parigi, L. Simonson e N. Bel Geddes a New York elaboravano nuovi metodi registici e gettavano le basi dell'arte interpretativa contemporanea. La drammaturgia moderna ricevette un importante contributo da B. Brecht, che teorizzò e mise in pratica un genere di t. epico, depurato dell'elemento drammatico onde permettere allo spettatore di assumere un ruolo di osservatore critico. La distanza emotiva dalla vicenda non esclude tuttavia il divertimento, che scaturisce appunto dall'osservazione del comportamento umano. Essenziale diventa l'apporto dell'attore-narratore: la sua recitazione deve impedire l'immedesimazione con il personaggio (effetto di straniamento). Di qui l'importanza del linguaggio, anzi dei linguaggi stilisticamente differenti, come differenti sono le classi sociali. In grave ritardo apparve il t. italiano dove, fatta eccezione per la grande presenza di L. Pirandello e il fenomeno circoscritto del t. di poesia dannunziano, il fenomeno più interessante degli inizi del Novecento apparve il t. futurista, le cui basi programmatiche vennero esposte nel Manifesto del Teatro di Varietà (1913) e nel Manifesto del Teatro Sintetico (1915). I futuristi (F.T. Marinetti, E. Settimelli, B. Corra) rivendicarono un t. antiaccademico, antinaturalistico, sovvertitore della logica e del verosimile. Esauritasi in fretta in Italia, l'esperienza del t. futurista avrà un influsso, sia pure indiretto, sullo sviluppo del t. dell'assurdo (A. Adamov, S.B. Beckett, J. Genet, E. Jonesco), del Surrealismo, del t. della crudeltà (A. Artaud). Significativa per la scena italiana fu la figura di A.G. Bragaglia; già futurista, assertore di un t. di regia e attento a tutte le avanguardie, egli creò a Roma, nel 1922, il T. degli Indipendenti. Incoraggiata in Italia a fini propagandistici durante il regime fascista, l'idea del t. di massa (sulla falsariga di quello sovietico o tedesco) produsse il Carro di Tespi, organizzazione teatrale itinerante, sorta in Italia attorno al 1930 per diffondere lo spettacolo lirico e di prosa. Il dopoguerra segnò un periodo di ritrovato fervore politico e culturale; l'idea di un t. come servizio pubblico, aperto alla società civile e recettivo alle nuove esperienze drammaturgiche, ispirò l'istituzione dei t. stabili (inizialmente denominati piccoli t.), promossi e finanziati dallo Stato e dagli enti locali. Il primo di essi, e punto di riferimento di tutti gli altri, fu il Piccolo T. di Milano, fondato da P. Grassi e G. Strehler, tuttora operante come una delle più illustri istituzioni teatrali italiane. Seguirono, dal 1948 sino agli anni Settanta e Ottanta, numerosi altri t. stabili, alcuni dei quali destinati a una breve esistenza (come i Piccoli T. di Roma, Firenze, Napoli, Bari e Bologna), altri ancora vitali e significativi per la sprovincializzazione della scena italiana. Tali sono il Piccolo T. della città di Genova, diretto da I. Chiesa, il Piccolo T. della città di Torino, diretto fino al 1994 da L. Ronconi, e il Piccolo T. di L'Aquila che si è imposto, sotto la direzione di A. Calenda, per la sua attenzione alla drammaturgia d'avanguardia. Il t. di regia, teorizzato dagli inizi del Novecento, ebbe nel dopoguerra in Italia i suoi maggiori esponenti in L. Visconti, che diresse nel 1945 al T. Eliseo una memorabile edizione de I parenti terribili di J. Cocteau, e G. Strehler, interprete moderno di C. Goldoni, B. Brecht, W. Shakespeare. L'egemonia registica nel t. moderno ha sovente relegato in second'ordine l'autore inteso in senso tradizionale, mentre diventa decisiva la messinscena stessa, intesa come sistema coerente e dinamico di elementi visivi, acustici, gestuali. Le eterogenee direzioni estetiche e ideologiche in cui, negli anni Sessanta-Settanta, si sviluppò il t. di sperimentazione tesero comunque all'interdisciplinarietà delle arti, conferendo al gesto e all'immagine un'importanza pari, se non superiore, a quella della parola. Non diversamente avevano fatto le avanguardie storiche (Futurismo, Surrealismo, Bauhaus, Costruttivismo), i presupposti teorici delle quali sono sottoposti infatti a una rivalutazione critica. Esemplare, a questo proposito, è stata la messinscena dell'Orlando furioso di L. Ronconi (palazzo dello Sport, Roma, 1969), attuazione del concetto di t. di movimento (già teorizzato dai futuristi) che comportava un coinvolgimento attivo degli spettatori. All'adozione di nuovi linguaggi artistici si prestano ora spazi scenici alternativi ai t. tradizionali, come cantine, capannoni, ex fabbriche, palazzetti dello sport, t. tenda. Il ruolo del regista come autore dello spettacolo ha provocato altresì conseguenze sul modo di scrivere per il t., ma anche taluni attori (D. Fo, C. Bene), per riaffermare la propria personalità, sono diventati essi stessi autori e registi dei propri spettacoli. Fuori dall'Italia, sperimentazioni in parte affini a quelle italiane caratterizzano l'attività del Théâtre du soleil, gruppo teatrale francese fondato da A. Mnouchkine alla metà degli anni Sessanta con l'obiettivo di realizzare un nuovo t. popolare in spazi non tradizionali. Massima attenzione al ruolo dell'attore viene dedicato nel t. povero teorizzato dal polacco J. Grotowski, animatore dal 1965 del T. Laboratorio di Breslavia. Da citare, inoltre, il festival di Avignone, fondato nel 1947 dall'attore e regista J. Vilar e divenuto ideale cassa di risonanza di ogni neoavanguardia teatrale. Negli Stati Uniti fu attivo sino dall'immediato dopoguerra il Living Theatre, fondato nel 1947 da J. Beck e J. Malina (allieva di Brecht), il gruppo teatrale probabilmente più rappresentativo del t. d'avanguardia americano, assertore di una spregiudicata fusione tra vita e pratica teatrale. La ricerca degli anni Sessanta è approdata a forme quali l'happening e la performance, dove l'evento teatrale è arricchito dall'apporto delle altre arti, in primo luogo quelle figurative. Negli anni Ottanta e Novanta, compiutasi ormai l'assimilazione delle esperienze neoavanguardistiche, la vita teatrale italiana si è assestata in forme e in spazi più convenzionali. • Mil. - T. operativo: il territorio dove si svolgono operazioni belliche coinvolgenti forze terrestri, aeree e navali, qualora la particolare natura del terreno operativo lo richieda. La responsabilità del loro impiego è affidata a un unico comandante, che deve assecondare ben definite esigenze tattiche rispondenti a una precisa strategia. Il t. operativo è diviso in due zone: la zona di combattimento, nella quale si trovano le forze combattenti terrestri e la forza aerea destinata all'appoggio tattico e alla difesa, e la zona delle comunicazioni, necessaria all'espletamento e alla difesa delle attività logistiche e amministrative di supporto alle forze combattenti.

"Tradizioni, struttura e istituzione nel teatro di ieri e di oggi" di Ugo Ronfani

Interno del teatro alla Scala di Milano

Interno del teatro alla Scala di Milano

Il teatro di Epidauro

Il teatro di Epidauro

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Dramma.

(dal greco drama: azione). Termine risalente ad Aristotele, indicante in origine qualsiasi opera letteraria le cui vicende, anziché essere raccontate e commentate dall'autore (come nella narrativa e nell'epica), sono svolte solo attraverso i dialoghi e i conflitti dei personaggi. In particolare, composizione teatrale caratterizzata da un intreccio doloroso. - Teatro - Nato dalla fusione della commedia con la tragedia (la forma seria del teatro aristocratico e feudale) il d. si distingue da quest'ultima per alcuni elementi esteriori ed anche per alcune caratteristiche intrinseche. Tra i primi: il d. non è necessariamente in versi, non racconta storie di dei o di eroi, non si conclude obbligatoriamente con la catastrofe (e con la catarsi), ma può essere in prosa, presenta personaggi rintracciabili nella vita quotidiana, svolge vicende che possono far parte dell'esperienza di ognuno, può sfociare in conclusioni amare o liete e comunque non sempre tragiche. Tra le seconde: la sorte dei protagonisti non è decisa in partenza da un decreto del fato o da una passione indomabile, ma determinata dal contesto nel quale essi agiscono; inoltre è assai più esplicito l'intento di educare lo spettatore, traendo dalle vicende una morale. Gli antecedenti di questo genere furono le cosiddette domestic tragedies elisabettiane: Arden of Feversham (1592), Una donna uccisa con la bontà, Una tragedia nello Yorkshire; suo prototipo appare il d. Il mercante di Londra (1731) di G. Lillo, che incontrò in Inghilterra un notevole successo. Fu comunque in Francia che si affermò in età illuministica il vero d. moderno, derivato dalla comédie larmoyante, volta a suscitare la trepida partecipazione degli spettatori alle patetiche vicende dei protagonisti. Spetta a D. Diderot il merito di aver esposto la teoria del nuovo genere nelle Tre conversazioni su "Il figlio naturale" (1757) e nel Discorso sulla poesia drammatica (1758). Dai propositi, d'orientamento realistico, di Diderot trassero ispirazione numerosi autori francesi, da Voltaire (La scozzese, 1760), a Mercier (Il carretto dell'acetaio, 1774) che nel Nuovo saggio sull'arte drammatica (1773) diede una definitiva consacrazione al termine d. In Germania i primi capolavori drammatici furono firmati da Lessing: Minna di Barnhelm (1763), Emilia Galotti (1772). Il d. dominò il teatro europeo dell'Ottocento fino a Ibsen e Strindberg; poi col nuovo secolo e il superamento dei vecchi generi, è iniziata la storia, completamente diversa, del teatro moderno. - D. pastorale: genere teatrale, affermatosi negli ultimi decenni del Quattrocento, che si rifà all'idillio, alla bucolica e all'egloga e trasforma il dialogo in vera e propria struttura drammatica. Esso è tuttavia condizionato dalle corti, che esigono dal poeta un teatro raffinato, pieno di fasto e di garbo. Il d. pastorale viene così a fondere il sentimento tragico a quello comico, con il lieto fine di rigore, per non turbare la serenità del gioco festivo, in cui abitualmente questo genere veniva rappresentato. Dalla favola pastorale il teatro riprende gli stessi personaggi: ninfe, satiri, pastori e cacciatori. L'esempio primo di questo genere si ha nella Favola di Orfeo di Poliziano, rappresentata nel 1480. Fino alla metà del Seicento il genere continua ad avere fortuna e tra le opere più significative sono da ricordare il Tirsi di Baldassarre Castiglioni (1506), l'Egle di G. B. Giraldi Cinzio (1545), l'Aminta di T. Tasso (1590), mentre l'Endimione di A. Guidi (1692) segna la fine di una formula ormai priva d'interesse, che egualmente si era andata spegnendo in Spagna e in Inghilterra, dove aveva trovato, specie in Garcilaso de la Verga, Juan de Encina ed E. Spencer, i migliori cultori. - D. satiresco: uno dei tre grandi generi del teatro classico greco; ha in sé i caratteri della tragedia e della commedia e assunse preciso carattere proprio per la dinamica grottesca su temi tragici. Nel d. satiresco il vecchio Sileno guida il coro dei satiri - esseri dai particolari animaleschi - osceni crapuloni, allegri, la cui azione fa da controcampo all'intervento del protagonista: Odisseo, contrapposto al leggendario Ciclope, nell'omonimo d. satiresco di Euripide, l'unico testo pervenutoci completo, o i tradizionali eroi della tragedia greca, rappresentati in dimensioni grottesche, dove comico e tragico si fondono in una parlata popolare, sboccata e cruda, ricca di vis comica. Al genere, che ebbe in Pratina (secc. VI-V a.C.) il suo perfezionatore, si dedicarono anche Eschilo e Sofocle con opere di cui restano frammenti. - D. liturgico: azione drammatica religiosa cantata su testo latino (talvolta misto a volgare). Il testo è sempre la parafrasi dialogata di un episodio evangelico; la sua rappresentazione che in origine aveva spesso maggiore affinità con un rituale processionale più che con uno svolgimento teatrale vero e proprio, si svolge in chiesa. Il periodo di maggior fioritura del d. liturgico si ebbe nel XII sec., ma le origini risalgono alla fine del IX sec.; lo sviluppo si protrasse fino al XIV sec. è probabile che l'origine del d. liturgico vada ricondotta alla fioritura dei tropi in epoca carolingia: si ritiene anzi che un primo breve ed embrionale esempio di d. liturgico possa essere stato il dialogo, interpolato al testo della Messa di Pasqua, tra l'angelo e le pie donne che trovano scoperchiato il sepolcro di Cristo. Il d. liturgico è legato alla solenne celebrazione di una festa: la Pasqua, il Natale, la resurrezione di Lazzaro, la conversione di Paolo. Non rientra quindi in senso stretto nella categoria di Planctus, lamento della Vergine sul corpo di Cristo, genere affine ma legato al Venerdì santo e avente carattere doloroso. - D. musicale: nel Seicento, e anche in seguito, fu talvolta sinonimo di melodramma o di opera seria. Ma un significato più preciso fu assunto dal termine dopo la teorizzazione wagneriana dei concetti di opera e di dramma. L'opera è quella caratterizzata dalla distinzione (consueta al tempo di Wagner) tra recitativi e arie, duetti, concertati; dalla presenza insomma di pezzi chiusi in cui le ragioni del testo dovevano adeguarsi a quelle della musica e in un certo senso subirle. Il rapporto si invertì nel d. musicale teorizzato da Wagner, in cui spettava al testo condizionare la forma musicale, liberata dalle esigenze del "pezzo chiuso". Dopo Wagner molti compositori evitarono nel loro teatro musicale le forme chiuse dell'opera (Strauss, Debussy, Verdi nel Falstaff e numerosi altri), senza che i loro lavori potessero tuttavia qualificarsi come d. in senso wagneriano.

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Leggenda.

Racconto di argomento religioso od eroico, caratterizzato dalla mescolanza di motivi reali e fantastici e da molti elementi soprannaturali. Per la sua caratteristica di descrivere fatti stupefacenti o eccezionali, la l. fu particolarmente fiorente durante il Medioevo. In seguito, si confuse con altre forme di narrazioni di fatti reali, o di avvenimenti fantastici che avessero un qualsiasi riferimento a personaggi, luoghi o epoche storiche. In questo senso più largo, che le è divenuto proprio, la l. si distingue sia dal racconto storico, sia dalla fiaba e dalla favola, sia ancora dall'aneddoto, dall'apologo, dalla storiella, ecc. Meno netta è invece la differenziazione della l. dal mito: un criterio generale di distinzione è indicato dal fatto che mentre la l. ha per substrato personaggi e fatti umani, il mito si aggira intorno ad esseri superumani, al di fuori quindi della storia degli uomini. A una categoria particolare appartengono le l. agiografiche, che hanno per oggetto la vita e le opere dei santi.

Paese.

(dal latino pagensis, der. di pagus: villaggio). Tratto di territorio piuttosto esteso, per lo più coltivato e abitato, individuato in base a particolari caratteri fisici, meteorologici, economici, antropici. ║ Estensione di territorio compreso in determinati confini, regolato da una medesima legge e ordinato in un organismo politico completo (sinonimo, in molti casi, di Nazione, Stato, con riferimento, quindi, anche alle popolazioni che vi abitano). ║ Centro abitato di limitate proporzioni. ║ P. legale: nella Francia della Restaurazione, il corpo ristretto degli elettori su base censitaria, contrapposto a p. reale, la più ampia coscienza e volontà politica, risultata dal suffragio universale; nel linguaggio giornalistico, le due espressioni sono state in seguito riprese (e sono tuttora in uso) per indicare, rispettivamente, il potere politico con le sue istituzioni da un lato, il popolo con la sua volontà e i suoi bisogni dall'altro. ║ Pittore di p.: paesaggista, paesista.

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